Per le donne vittime di violenza, rispettare la quarantena a causa Covid19 con i propri carnefici non è bastato per salvarsi. Sono undici le donne sfuggite al virus, ma non alle dure mani intorno al collo. A parlarne il Dott. Caruso, Psicologo e Criminolgo, docente e esperto in crimini violenti e Vittimologia, da sempre si è impegnato nella prevenzione istituendo uno dei pochi Master presenti in Italia in Vittimologia: “Donne e minori e separazioni conflittuali”,
Il Covid-19 non ha fermato la violenza sulle donne, ad oggi che si spera essere fuori della lunga quarantena, quali sono i dati inquietanti delle vittime? E quali i bilanci situazionali? “Com’era prevedibile i dati sono allarmanti, secondo i recenti aggiornamenti si parla di 11 donne uccise durante la pandemia, e il numero delle vittime di violenza è aumentato del 75% con migliaia di richieste d’aiuto da Nord a Sud. I bilanci sono tragici, i centri antiviolenza non hanno i giusti finanziamenti e manca una giusta politica di prevenzione. E’ solo attraverso la prevenzione che si potrebbero abbassare le drammatiche statistiche che purtroppo siamo costretti a contare anno per anno”.
Quali sono i motivi per cui la convivenza forzata abbia influito così negativamente sull’aumento della violenza sulle donne? “Il lockdown ha aumentato a dismisura dei problemi già esistenti. Questa forzatura e modificazione artificiale dei nostri comportamenti con la chiusura imposta, ha tirato fuori in maniera inevitabile il peggio di sé stessi andando ad aumentare un fattore d’incidenza, confermato in varie analisi, per le violenze: i conflitti. I conflitti incidono molto nell’insorgenza delle violenze, e questa convivenza forzata ed impossibilità nell’avere i propri spazi non solo ha peggiorato delle situazioni preesistenti ma ne ha creato delle nuove procurando dei danni irreversibili creando delle situazioni di violenza inaudita come abbiamo visto negli ultimi tempi. Ricordiamo, e lo ripeteremo sempre, che il raptus non esiste ma la violenza è sempre un fattore conseguenziale”.
Quali sono le conseguenze per i bambini vittime di violenza domestica e assistita, che hanno vissuto in un clima di terrore costante e di cui nessuno se ne preoccupa? “Si parla poco del fenomeno della violenza assistita, eppure le ripercussioni nei bambini sono traumatiche. Spesso si crede che i bambini che assistono al litigio non siano consapevoli della situazione e non capiscano quanto accada senza avere effetti. Invece le vittime di violenza assistita hanno lo stesso drop-out come se la violenza fosse indirizzata verso di loro. Sono enormi i danni emotivi, i disturbi post traumatici, conflitti interni che seguiranno tutto il percorso formativo fino all’età adulta. E’ inevitabile che un bambino che assiste ad episodi violenti del padre contro la madre andrà a riproporre questa forma di relazione. Nei miei studi ho trovato molta congruenza tra violenza assistita e profilo anamnestico degli autori di aggressività: chi ha commesso un femminicidio o dei gravi fenomeni di violenza verso le donne, in molti casi è stato vittima di violenza assistita”.
Si ipotizza un aumento del 20% della violenza dall’inizio della pandemia in tutti i 193 stati membri delle Nazioni Unite, parliamo quindi di emergenza globale. Come bisognerebbe intervenire? “Spero venga sottolineato che l’unica arma di cui siamo in possesso è la prevenzione. Senza la prevenzione siamo i falliti che operano il fallimento. E’ necessario intervenire non a danno avvenuto ma già sui segnali di all’arme del disagio. E’ importante, per chi come me si occupa di tali questioni, andare nelle scuole, parlare di educazione affettiva e creare dei centri per gli uomini maltrattanti, altrimenti il problema non sarà mai davvero risolto. Vanno potenziati i centri-antiviolenza, gli sportelli di ascolto creando dei nuovi scenari come si sta già facendo, in farmacia, nei negozi etc. Ma per fare ciò è necessario un supporto anche economico a 360 gradi, in quanto non è giusto che questo venga delegato al volontariato. E’ un emergenza etica, sociale, sanitaria e soprattutto mondiale. La prevenzione della violenza contro le donne deve essere il primo impegno dello Stato”.