Un risarcimento da un milione e 300mila euro ai familiari per sua morte, dovuta ad un mesotelioma da esposizione ad amianto. A stabilirlo una sentenza del Tribunale di Roma, che ha condannato il Ministero della Difesa a risarcire i familiari del sottufficiale motorista napoletano Camillo Limatola, deceduto il primo agosto 2013 a soli 59 anni.

Dipendente della Marina tra il 1973 e il 1978, presso la base militare de “La Maddalena” (Sardegna) e di Napoli, città dove vive la vedova, ma anche sull’incrociatore Vittorio Veneto. Limatola si vede diagnosticare nel 2011 un mesotelioma, che in due anni non gli lascia scampo. Prima di morire però Limatola ottiene il riconoscimento di vittima del dovere e una prima liquidazione, tramite le diffide presentate dal presidente dell’Ona, l’Osservatorio Nazionale Amianto, l’avvocato Ezio Bonanni, legale della famiglia. Consapevoli che la malattia derivasse dall’amianto presente sulle navi su cui lavorava, la vedova Maria Rosaria Ducadeo e i figli Antonietta e Vincenzo, che alla morte del padre avevano 33 e 28 anni, decidono di ottenere dal Ministero della Difesa il risarcimento per i danni subiti.

Si arriva così ad uno scontro giudiziario per l’opposizione dell’Avvocatura dello Stato. Il verdetto del tribunale di Roma accoglie il ricorso presentato dai familiari di Limatola, ottenendo la condanna del Ministero e il risarcimento di circa un milione 300mila euro per danno non patrimoniale, danno da perdita di rapporto parentale e danno biologico psichico.

Scrive il giudice Claudio Patruno nella sentenza: “Dagli atti prodotti, richiamati per sintesi nella fase dello svolgimento del processo, emerge come sia negli ambienti in cui il Limatola ebbe a svolgere servizio sia a bordo delle navi in cui fu imbarcato, era presente e frequente l’Amianto”, precisando che né “tute, guanti, o maschere filtranti” venivano fornite all’equipaggio, né erano presenti “adeguati sistemi di depurazione dell’aria, o sistemi di isolamento sicuro del minerale”.

“L’attività dell’equipaggio imbarcato – scrive ancora il giudice – avveniva inoltre in locali abbastanza angusti, cosa che favoriva un’alta concentrazione delle fibre di Amianto nell’aria”. “Anche nella sede della base della Marina Militare di Napoli – si legge sempre nel dispositivo – il minerale era stato ampiamente utilizzato, sia in forma compatta che fibrosa, ed anche in questa sede il personale lavorava senza adeguata protezione. La situazione della base di Napoli è stata peraltro confermata dalla documentazione di indagine della Procura della Repubblica di Padova”.

“Un’altra sentenza fondamentale – dichiara Bonanni – per il riconoscimento anche del danno psicologico sofferto dai familiari delle vittime, che possono cadere in forte depressione per quella che considerano a tutti gli effetti un’ingiustizia. Morire al lavoro è qualcosa che non può essere accettato”. “Per noi era importante avere avuto giustizia – ha spiegato Vincenzo Limatola, dopo aver saputo della sentenza favorevole – perché la nostra famiglia ha patito enormi sofferenze dopo la terribile diagnosi e la morte di papà”.

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