I corpi di donne martoriati con colpi d’arma da fuoco nelle parti intime e parzialmente carbonizzati. Quelli di una decina di uomini, con le mani legate dietro la schiena, uccisi nel giardino di un condominio in quella che sembra essere una esecuzione. E poi ancora: ”Bambini con le mani legate dietro la schiena e un colpo di pistola sparato in testa. Stiamo parlando di bambini” e altre accuse relative a ”donne stuprate e uccise, fatte a pezzi”. E’ l’orrore commesso dai soldati russi a Bucha, cittadina di circa 30mila abitanti che si trova nella zona nord-occidentale della regione di Kiev. Orrore che le truppe di Mosca, che continua a negare quanto accaduto, hanno commesso dal 24 febbraio a pochi giorni fa, quando hanno lasciato la città e lungo la strada decine di cadaveri di civili, le cui immagini hanno sconvolto il mondo. Al momento un bilancio delle vittime non è stato ancora ufficializzato ma sarebbero centinaia, molte delle quali ritrovate in fosse comuni.

Sono raggelanti alcune dichiarazioni rilasciate da una fonte della sicurezza ucraina all’agenzia Adnkronos che ha anche preso visione di ulteriori immagini del massacro russo, decidendo di non pubblicarle. ”Le immagini che stanno circolando in queste ore sui media internazionali sono solo il 10 per cento dello scenario reale a Bucha” spiega la fonte che poi fornisce una serie di dettagli da brividi. Oltre ad alcuni bambini uccisi (con le mani legate dietro la schiena) e alle donne sparate nelle parti intime, i russi “hanno provato a dare fuoco ai cadaveri, volevano bruciarli per nascondere le prove dei crimini commessi”.

Sergiy Prylucki, un residente di Bucha, raggiunto nei pressi dell’aeroporto dall’AdnKronos, racconta che la cittadina “è stata torturata e devastata dal 24 febbraio. Io ho visto l’orrore e posso testimoniarlo. I media lo hanno scoperto soltanto adesso”. Qui “non si poteva restare. Siamo scappati a casa di amici, con mia moglie e mio figlio in una zona della città che fortunatamente non ha conosciuto le violenze dell’esercito russo, anche se era vicino. Lì siamo rimasti due settimane”, poi l’11 marzo Sergiy è fuggito verso Kiev e quindi Ternopil, dove si trova adesso mentre moglie e figlio sono rifugiati in Polonia.

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