Lo hanno trovato adagiato su un’amaca, con il corpo coperto da piume, in quel fazzoletto di terra dell’Amazzonia rimasto incontaminato dalla deforestazione. E’ morto nella sua casa a cielo aperto, dove ha vissuto da solo negli ultimi 26 anni. Lo chiamavano Indio do Boraco, l’indigeno della buca, perché era abile a scavare fosse-trappola per gli animali di cui si nutriva. Buche dove lui stesso a volte si rifugiava dalla “civiltà“.

Era l’ultimo membro della sua tribù, quella presente nell’area protetta di Tanaru, nella giungla amazzonica di Rondonia, al confine tra Brasile e Bolivia. I funzionari del Funai, l’agenzia brasiliana creata per difendere le oltre 240 tribù indigene che vivono nei territori più isolati dell’Amazzonia, lo hanno trovato senza vita lo scorso 23 agosto. Era adagiato su un’amaca vicino alla capanna gialla dove viveva, coperto da piume forse perché sapeva che era arrivato il suo momento. La morte risalirebbe almeno a 30 giorni prima.

Non è chiara l’età dell’indigeno della buca. Oscillerebbe tra i 60 e i 70 anni. La sua tribù era stata massacrata dagli anni Settanta alla fine degli anni Novanta da allevatori spietati e pronti a tutti per espandere i pascoli. Lui era l’unico ad essere sopravvissuto con i suoi movimenti monitorati dal 1996. Una squadra del Funai lo aveva incrociato casualmente una volta nella fitta foresta e senza farsi vedere lo aveva filmato brevemente nel 2018: l’indigeno della buca era impegnato ad abbattere un tronco d’albero e non si era accorto di nulla.

Da allora non era stato più avvistato lasciando tuttavia numerose tracce della sua presenza: dalle capanne di paglia alle buche profonde usate per cacciare con punte affilate sul fondo.

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