Draghi

”Non ho mai considerato il M5S un alleato particolarmente affidabile. Oggi però penso che si debba rispettare il dibattito interno al Movimento, senza parteggiare per l’uno o per l’altro dei leader che si stanno scontrando. Il nostro compito è semmai cercare di recuperare il consenso dei loro ex elettori delusi”. Questa l’analisi di Giorgio Gori sulla crisi che sta investendo il Movimento 5 Stelle. In un’intervista a Repubblica il sindaco di Bergamo si sofferma sull’alleanza auspicata da Letta, aggiungendo che “se il disegno del campo largo si riduce a un’alleanza Pd-Leu-5S, che in più sconta l’estrema fragilità di una delle sue componenti, si tratta di un campo decisamente troppo stretto. È utile che il dialogo con i 5S continui, ma è evidente che questo schema non può bastare. Per me vale la road map tracciata da Letta nel giorno della sua investitura: prima si pensa a far crescere il Pd coltivandone l’identità come forza del lavoro, dell’equità e della modernizzazione del Paese. Poi si ricostruisce il centrosinistra. E infine si dialoga con i 5S, sperando che recuperino un assetto più stabile. Con una chiara gerarchia delle relazioni”. “Bisogna chiedersi – prosegue Gori – con chi il Pd ha una maggiore comunanza di valori e di idee. Secondo me con le diverse forze riformiste. Da lì si parte. I numeri ci dicono che non possiamo pensarci autosufficienti. Oltre ad ampliare la nostra base di consenso, che è la prima cosa, dobbiamo allargare lo sguardo agli ambientalisti e ai liberaldemocratici. E dico di più: il dialogo deve cercare di coinvolgere anche i riformisti di centrodestra, quindi Forza Italia. Non so con quale legge elettorale andremo al voto, ma sono convinto che un confronto con quest’ area – sebbene ancora in fase di organizzazione e piuttosto litigiosa – sia in ogni caso importante. Io penso che Fi non abbia interesse a restare ingabbiata dentro una coalizione disomogenea e instabile, col rischio di essere egemonizzata da forze di matrice nazionalista. Se resta il maggioritario sarà difficile che il quadro muti. Se invece matureranno le condizioni per una legge elettorale di tipo proporzionale la situazione potrebbe cambiare. E sarebbe, io credo, una cosa buona per l’Italia, che ha bisogno di proseguire il percorso di modernizzazione e di rilancio avviato dall’amministrazione DRAGHI. Perché questo accada è auspicabile che le forze riformiste e socialiste lavorino insieme, come già succede in Europa nella Commissione von der Leyen, superando la classica divisione fra centrodestra e centrosinistra”. Che DRAGHI possa governare oltre il ’23 ”mi pare una prospettiva auspicabile – dice ancora Gori – Quando parlo della collaborazione tra i riformisti, dai socialisti ai liberali, alludo a uno schema che possa andare anche oltre gli schieramenti classici, relegando all’opposizione i populisti e le forze anti-europee. Di questo schema il Pd può e deve rappresentare l’asse portante. Se dal voto dovesse uscire una maggioranza di impronta riformista, questa potrebbe chiamare DRAGHI a completare il lavoro su riforme e Pnrr. Se possa essere il leader del Pd ad aspirare a guidare il Paese? Certo – conclude – Dipende da quali schieramenti si confronteranno alle elezioni, da chi ne risulterà vincitore e da come si comporrà la prossima maggioranza di governo. Faccio il tifo per il Pd ma, stando ai sondaggi, parrebbe difficile che una coalizione limitata a Pd, M5S e Leu possa prevalere. Dobbiamo perciò lavorare per rafforzare innanzitutto noi stessi e per allargare il campo ad altre forze. Siamo il primo partito del Paese, ma dobbiamo tornare stabilmente sopra il 25%. Ci riusciremo se sapremo farci garanti di un nuovo patto sociale fondato sul lavoro e sulla crescita”.

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