Una giornata importante per il Governo. Un Governo che sarebbe ai titoli di coda, scenario che spingerà il presidente del Consiglio Mario Draghi a salire al Colle. È questo il retroscena pubblicato oggi da Repubblica  sulla situazione politica in Italia dopo l’annuncio di Giuseppe Conte.

Nelle stanze di palazzo Chigi, scrive il quotidiano, c’è la consapevolezza che Giuseppe Conte, fino all’ultimo, avrebbe fatto di tutto per tenere il suo Movimento Cinque Stelle dentro il governo e la maggioranza. Anche nella telefonata di ieri pomeriggio con Draghi, ha pregato il premier di non intestardirsi, di evitare di considerare la “non fiducia” che i suoi senatori esprimeranno oggi come una “sfiducia” formale.

Ma si è scontrato con la rigidità di Draghi che non ha intenzione di cedere a giochi di palazzo, anzi – si legge su La Repubblica – li respinge. “Caro Conte”, gli ha risposto il premier secondo la ricostruzione, “sul merito dei nove punti che mi hai presentato sono sicuro che riusciamo a trovare un accordo soddisfacente per tutti, ci vorrà qualche tempo ma ci arriveremo. Però se domani non votate la fiducia io mi devo fermare, non posso far finta di niente”.

Insomma, Draghi avrebbe capito che il suo interlocutore stava provando in tutti i modi di evitare il patatrac, consapevole di essere stato chiuso in un angolo sia dai suoi avversari sia dagli “amici” intransigenti all’interno del M5S. Ma ormai, ammettono nel circolo del premier, potrebbe essere troppo tardi per fermare la giostra che si è messa in moto. Anche perché, ed è un punto fondamentale, i giocatori al tavolo non sono soltanto Draghi e Conte.

Cosa che si è compresa quando Matteo Salvini si è subito infilato nel varco aperto da Conte e ha chiesto elezioni anticipate nel caso i Cinque Stelle avessero confermato l’Aventino. Una posizione – sottolinea il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari – simile a quella del Pd, che non vede altri governi oltre quello esistente. Ed è ben possibile che quello di Enrico Letta sia stato solo un bluff, un ultimo, disperato, tentativo per aiutare Draghi e indurre i grillini a ripensarci.

Si torna al punto di partenza, a questa crisi di governo paradossale, perché non voluta anzitutto dal leader – Giuseppe Conte – che la sta suo malgrado provocando. Il capo dello Stato lascia che i leader interloquiscano tra di loro in quella che, agli occhi di Mattarella, sarebbe ancora una situazione gestibile. Draghi non è caduto e non cadrà oggi per un voto d’aula. Anzi, il Senato gli darà la fiducia, seppur senza i voti dei Cinque Stelle. Poi il premier, stando a quanto ha fatto capire, salirà al Quirinale per prendere atto che la sua maggioranza non esiste più. Ma ancora per Mattarella questo potrebbe non essere sufficiente a chiamare il Paese alle urne anticipate.

Come spiegano al Colle in queste ore, prosegue il quotidiano, si tratterebbe infatti di una crisi extraparlamentare e dunque rimessa alla volontà del presidente del Consiglio. Alla fine del Conte II, Mattarella vedeva tutta la difficoltà del premier a raccattare qualche voto di “responsabili” per andare avanti, eppure non impedì all’allora premier di provarci. E intervenne solo quando Conte decise di gettare la spugna.

Mattarella ascolterà quello che Draghi andrà a riferirgli e soltanto dopo metterà in moto il motore costituzionale della Repubblica. Anche la possibile eventualità di tornare davanti al Parlamento e chiedere un nuovo voto di fiducia sarà una scelta che dovrà essere Draghi a prendere, senza spinte presidenziali. Si intuisce in queste ore una diversità di posizioni tra Quirinale e Palazzo Chigi, ma questa percezione è dovuta, spiegano nei due palazzi, alla diversità dei ruoli. Il Capo dello Stato, per Costituzione, ha come obiettivo la stabilità e non può non essere preoccupato per l’eventualità di una crisi con la guerra in Europa e in piena emergenza economica. Per Draghi si tratta invece di prendere atto di una situazione diventata insostenibile. “Se andasse avanti facendo finta di niente – spiegano – dal giorno dopo sarebbe il Vietnam, ognuno sarebbe legittimato a votare solo quello che gli aggrada: il go verno sarebbe paralizzato, restare non avrebbe senso”. Da qui la logica conclusione che si potrebbe essere titoli di coda.

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